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[...] L'io poetante di Nazim Comunale è un 'soggetto' smarrito che prende atto con sgomento di essere al centro di niente: «Ho raggiunto un posto dove non arrivano nemmeno le parole. / Non ricordo come sono arrivato qui». E allora, ecco: da una parte abbiamo il passato estremo del mito («Quando eravamo immortali / e non sapevamo il prossimo buio / i giganti seguivano i passi / dei nostri alfabeti nel bosco»), dall'altra il presente estremo di una «malattia che santifica ogni lingua». Non sappiamo come e perché, ma siamo finiti in una trappola, in una situazione che ci sta cambiando radicalmente: «Nell'anonimato cosmico / nel pulviscolo occidentale / tradiremo perfettamente la giovinezza». La voce di Nazim, abbandonata a se stessa, si lascerebbe andare volentieri alla lallazione, all'insignificanza più completa, alla pura percezione di se stessi. Basti pensare ai versi e alle singole parole che si ripetono da una poesia all'altra per poi svariare come fughe musicali. Ma si pensi, soprattutto, alla particolare intonazione che caratterizza questa voce. Alla sua costituzione sonora contribuiscono non solo le immagini e gli elementi esperienziali derivanti dal nostro essere sempre sradicati da noi stessi, ma anche la vasta cultura musicale di Nazim. Mai nessuno è riuscito a spiegare in modo convincente cosa sia il ritmo in una poesia. [...] (Vittorino Curci)